1 Charlie Mike 257 Maurizio - La mia città

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La mia città


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CUCINA


L’autentica cucina tradizionale di una regione o di una città, sempre strettamente legata alle risorse naturali, rappresenta una testimonianza concreta del passato e permette di rivivere usanze radicate nel tempo.
La Liguria, regione povera dal punto di vista agricolo, specialmente nelle zone dell’entroterra si è mantenuta chiusa agli influssi esterni, conservando intatto il patrimonio della cultura contadina; Genova poi, come Repubblica, ha goduto a lungo di indipendenza politica.
Tutti questi elementi si leggono chiaramente nella tradizione culinaria ligure e genovese in cui mancano quelle sontuose contaminazioni tipiche della cucina di altre città italiane che anche a tavola hanno risentito delle dominazioni straniere. La cucina genovese presenta, inoltre, una certa sobrietà che non è affatto mancanza di fantasia, come denotano l’uso inventivo di erbe aromatiche e addirittura selvatiche e l’accostamento dei sapori, ma piuttosto specchio di uno stile di vita.
Non stonano neppure gli apporti, facilmente spiegabili, di origine orientale. A questi influssi si devono alcuni piatti, come lo "scucuzzù", minestra di pasta lavorata irregolarmente a forma di chicchi di grandine che anche nel nome si collega al cuscus, e gli stessi ravioli. Non deve stupire la scarsità di piatti a base di pesce fresco, poiché i liguri sono sempre stati grandi navigatori e commercianti ma mediocri pescatori e il mare Ligure, del resto, per le caratteristiche dei suoi fondali, non offre molte risorse.
Esistono però antiche ricette in cui domina il pesce conservato: la "capponada" dei marinai (acciughe salate condite su una base di galletta) di cui il "cappon magro", a base di pesce fresco e verdure in salsa verde, è una grandiosa e complessa rielaborazione.
Le caratteristiche della terra ligure si riflettono anche nel numero ristretto di piatti a base di carne, che in tempi non troppo remoti erano riservati esclusivamente ai giorni di festa. va ricordata in particolare la "cima" ripiena, tasca di carne farcita con animelle, cervella, vitello, uova, verdure e aromi, cotta in brodo e raffreddata sotto peso.
Carne di vitello, verdure e aromi entrano anche nel ripieno dei ravioli. Nell’entroterra, la cucina valorizza soprattutto polli e conigli, mentre esistono ancora in città numerose tripperie che forniscono l’ingrediente per alcuni piatti poveri di antica tradizione, come la "sbira", una zuppa di trippa condita con salsa di pomodoro e aromi che si differenzia dall’analoga preparazione toscana per la presenza di patate a pezzi.
Infine, vanno ancora ricordati i "berodi" (sanguinacci), salsicce di sangue di maiale, immancabili sulla tavola natalizia, e i salami di Sant’Olcese.
Numerosi e squisiti sono i piatti di cui le verdure rappresentano l’ingrediente principale. Melanzane, cipolle e zucchine vengono riempite e quindi fritte o cotte in forno o in umido; con le lattughe ripiene si prepara una delicata minestra e il polpettone (scarbasse) è composto di fagiolini, patate, ricotta e uova. La celebre "torta pasqualina", gonfia per le numerose sfoglie lavorate con tecnica particolare è a base di bietole, uova e cagliata. Le erbe aromatiche rivestono particolare importanza in questa cucina che evita sughi e intingoli elaborati: vi si trovano l’aglio, l’origano, la maggiorana, il prezzemolo e soprattutto il basilico.
Il celebre "pesto" si prepara appunto pestando nel mortaio di marmo foglie di basilico, aglio e pecorino, condendo alla fine con olio di oliva.
Molti piatti della cucina antica sono quasi scomparsi dall’uso, altri invece fanno ancora parte delle abitudini quotidiane e sono reperibili ovunque. Nelle friggitorie tipiche, insieme ai fritti di pesce azzurro e di baccalà, si possono trovare la "farinata" (farina di ceci impastata con acqua e cotta in forno a legna negli appositi testi o tegami), i "cuculli" (frittelle di farina di ceci) e i "frisceu", frittelle rotonde e leggere di verdura.
Tra i dessert spicca il "pandolce" presente a Natale su ogni tavola, ma non vanno dimenticati i "canestrelli", specialità dell’entroterra genovese, e la "panera", semifreddo di panna e caffé.
I vini genovesi vantano una tradizione antichissima: già la tavola di Valpolcevera, il più antico documento della storia di Genova, fa menzione dei vini prodotti in quella zona; nell’alto Medioevo la collina di Carignano era ricca di vigne, come altre campagne da Rivarolo e Quarto. Oggi sopravvive, tra alterne vicende, soltanto il "Coronata", un bianco dal retrogusto inconfondibile di zolfo.
Alcuni dei vini prodotti nella regione godono di ampia rinomanza: celebri sono il "Bianco Secco" delle Cinque Terre e lo "Sciacchetrà", della Riviera di Levante, oltre al "Pigato", il "Vermentino" e il "Rossese di Dolceacqua" della Riviera di Ponente. I vini liguri però sono di produzione limitata ed è sempre più difficile trovarli genuini.
A Genova quindi si bevono soprattutto il "Bianco di Gavi", prodotto in Piemonte nella zona di confine con la Liguria e i rossi "Barbera" e "Dolcetto" che è possibile trovare di buona qualità.

 

 

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